Curiosità sulla tradizione carnevalesca in Calabria

Oggi è martedì grasso, e abbiamo deciso di proporvi uno dei rituali più famosi del Carnevale calabrese che va oltre l’abbuffata, a cui si contrappone il digiuno successivo della quaresima. Leggete per saperne di più!
Il riscatto sociale delle “frassie” o “frazze”
In alcuni Paesi fino a circa 50 anni fa il periodo di Carnevale coincideva con una particolare rappresentazione: una vera e propria performance, quella della frassia, che assolveva il ruolo del riscatto sociale della comunità nei confronti del potere e dei governanti.
Lo svolgimento della frassia produceva un impatto molto forte sulla comunità.
Chi scriveva le opere?
I testi erano spesso composte da una persona analfabeta, che aveva solo l’attitudine a scrivere. In realtà chi componeva voleva far divertire ma soprattutto esprimere la propria denuncia contro il potere e la società, senza alcuna pretesa letteraria. Da ciò deriva anche il disinteresse della popolazione colta nei confronti di questo fenomeno; che essendo composte da gente ‘ignorante’, venivano considerate di poco valore.
Funzione sociale del Carnevale
Cercando i significati della funzione del carnevale in maniera più profonda, si può affermare che relegare questo rito del carnevale al luogo della protesta popolare sarebbe riduttivo; si tratta semmai, di un luogo d’incontro, non privo di conflittualità, di ceti sociali diversi, portatori di valori identici e differenti.
In molte località della Calabria i testi carnevaleschi ci pongono di fronte a un Carnevale come rito dell’intera comunità o come rito di ceti sociali e culturali diversi. La satira era diretta a categorie sociali – ai politici soprattutto, ma non risparmiava anche gli “altri: i forestieri, gli abitanti di un paese vicino o ironia contro membri del proprio gruppo
Come avveniva?
La frassia rispettava un copione non scritto, tramandato oralmente ed affidato ad attori di strada che dovevano anche sostenere le parti femminili. Muovendosi di rione in rione, i protagonisti recitavano le scenette e concludevano le esibizioni accettando in premio qualche buon bicchiere di vino.
I protagonisti indossavano delle maschere e per mezzo della satira facevano sentire la propria voce. Si rivolgevano ai potenti della comunità, ai politici, schernendoli e suscitando ilarità ma anche riflessioni e insegnamenti.
La perdita della memoria collettiva
il mito e il rito carnevalesco in Calabria non hanno trovato il meritato approfondimento. Non esiste, infatti, una indagine su un Carnevale calabrese né uno studio ‘unitario’ sui molteplici e diversi aspetti dei Carnevali della Calabria.
Probabilmente questa difficoltà è legata, non soltanto alle scelte culturali ma anche alla frammentazione e diversificazione de “i Carnevali” per come sono vissuti nelle piccole realtà.
Altra motivazione è legata al fatto che in molti luoghi le farse venivano praticate nella maggior parte dei paesi in maniera orale.
Un altro motivo che ha contribuito alla dispersione delle frassie è riscontrabile nel fatto che molti padri di famiglia che le praticavano, spinti dalla paura dell’arresto o della censura, non volevano che i figli e nipoti si immischiassero in questo tipo di cose e decisero di non tramandarle. Infine, l’emigrazione di massa favorì la possibilità di dimenticare le tradizioni in maniera consistente.
Negli anni successivi all’emigrazione di massa, si tentò di recuperare la tradizione in alcuni luoghi ma si passò dalla scrittura e rappresentazione di testi teatrali veri e propri alla scrittura delle poesie, dove non c’era più la denuncia ma la trattazione di argomenti che mettevano il luce i problemi del paese e in generale del sud.
Lasciando la piazza e trasformatosi in poesia, ii fenomeno passa da fenomeno collettivo ad espressione del malessere individuale e soggettivo, perdendo la sua funzione "corale".
Infine, le province in cui si ha più memoria storica di questa tradizione sono: Cosenza (soprattutto a San Giovanni in Fiore), Vibo Valentia (ad esempio a San Nicola da Crissa), Crotone.