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In occasione dell'imminente ricorrenza della Giornata Internazionale della donna abbiamo deciso di proporvi questo secondo articolo di questa piccola rassegna personale di donne calabresi che vi hanno vissuto e di cui non si è ancora parlato abbastanza.
Ci sono vite che si intrecciano in maniera così unica da sembrare trame di film; a volte mescolano volti, passioni, sacrifici ed eventi storici epocali, creando commistioni uniche.
Oggi vi parliamo di una donna vissuta a cavallo tra la prima e la seconda guerra mondiale: Giuditta Levato, una donna dalle umili origini che combatté contro la voce grossa dei padroni pagandone con la vita stessa.
Radici biografiche
Nacque nel 1915, nel territorio che oggi è il Comune di Sellia Marina, in provincia di Catanzaro. Cresciuta assieme ad altri sei fratelli, Giuditta si sposò molto giovane con un bracciante. I due ebbero due figli e quando l’uomo fu chiamato al fronte per la guerra, la Levato si trovò a dover continuare a portare avanti il lavoro del consorte.
Contesto storico
Ancor prima della liberazione d’Italia, nell’ottobre del 1944, il ministro dell’Agricoltura Fausto Gullo emanò la riforma dei patti agrari, volta a garantire maggiori diritti per chi coltivava la terra. I contadini attendevano una riforma agraria già dalla prima guerra mondiale; essa venne concessa solo con la costituzione per sancire il contributo fondamentale apportato dai contadini nella lotta partigiana.
Promesse e ostilità
Quali erano i contenuti della tanto attesa riforma? Essa garantiva ai contadini almeno il 50 per cento della produzione che andava divisa, il permesso di occupare terreni incolti a cooperative agricole, un’indennità per incoraggiare a consegnare i prodotti ai magazzini statali, ribattezzati granai del popolo, la proibizione di figure intermediarie tra contadini e proprietari. Il decreto voleva stabilire l’uguaglianza e il diritto alla terra a tutte e tutti. Questi provvedimenti furono fortemente ostacolati dai latifondisti calabresi (assieme a quelli siciliani e pugliesi) che vedevano nei nuovi proprietari contadini degli usurpatori di terreni che per consuetudine da sempre gli erano appartenuti.
Impegno politico
In questo clima di tensione ed incertezza, in cui ancora alla figura femminile in Italia venivano negati molti diritti fondamentali, Giuditta Levato capisce presto che bisognava lottare. Mette in campo la propria passione per tentare di far applicare questa riforma. Si iscrisse al PCI e contribuì a fondare una sezione del partito, una cooperativa e, infine, una Lega.
La donna usava un linguaggio semplice e persuasivo che faceva da collante per tutti coloro che lottavano, riuscendo a parlare ai braccianti del pensiero comunista come mezzo di liberazione degli uomini dal bisogno, dalle guerre e dallo sfruttamento.
La tragedia
Il 28 novembre 1946, quando si recò a lavorare, Giuditta trovò Pietro Mazza, un latifondista che per affermare il suo potere, aveva deciso di far pascolare le sue mandrie sui terreni coltivati, rovinando tutti i raccolti.
La Levato, incinta di sette mesi del terzo figlio ma sicura di non voler chinare la testa, con un passaparola riunì circa cinquanta persone in gran parte donne e guidò una protesta affrontando sia il proprietario, in possesso di un fucile carico, che il suo guardaspalle.
Si scatenò una lite, causata anche dalla minacciosa presenza dell’arma. Fu sparato un colpo che ferì gravemente la donna al ventre. Il guardaspalle rischiò il linciaggio e fu subito legato, la donna fu trasportata fino a casa sanguinante in attesa di un mezzo che le permettesse di raggiungere l’ospedale di Catanzaro, a cui non riuscì mai ad arrivare.
Un evento spartiacque
L’uccisione di Giuditta Levato, la prima donna vittima della repressione agraria uccisa nella battaglia contro il latifondo, rappresenta un evento spartiacque perché da quel momento in poi la tensione sociale aumenta.
Giuditta Levato fu donna di popolo, non solo vittima ma combattente. Donna che crede nell'emancipazione della classe sociale contadina e nel progresso della Calabria, terra nella quale voleva restare.
La sua memoria merita di essere omaggiata assieme a quella di altre lotte portate avanti da braccianti calabresi donne, che è tutt'oggi quasi totalmente sconosciuta.
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